Ne parliamo con il Direttore Giuseppe Vignali
Problema cronico, quello della presenza di ungulati, e in particolare di cinghiali, nelle aree interne (e soprattutto esterne) al Parco. Ne abbiamo parlato "fuori dai denti" con il Direttore Giuseppe Vignali, alle prese da anni con la questione.
Caro Direttore, tanti sforzi per costruire un Parco; tante energie per dargli un forte profilo istituzionale, tessere relazioni, approntare progetti, realizzare interventi innovativi e poi…ci si trova spessissimo a dover sostenere discussioni e addirittura a doversi difendere per dei…maiali. Certo i cinghiali sono una piaga ovunque, e in certi luoghi un problema ben più ostico che su queste montagne, ma vale la pena comunque fare chiarezza.
Cominciamo dall'inizio: di che animali si sta parlando? E come mai sono così tanti?
In effetti il problema del "maiale inselvatichito" continua a imperversare nel panorama dei parchi italiani. Questo maiale, che ha poco da spartire con il cinghiale, è stato introdotto, come altre "schifezze", a scopo venatorio e si e' trovato perfettamente a suo agio nel nuovo Appennino. Ci sono tonnellate di castagne, ghiande, mele e pere che nessuno raccoglie più. E c'è anche qualche cacciatore/allevatore che arricchisce la dieta con pasturazioni mirate.
Questi danni hanno qualche altro responsabile? E sono solo danni all'agricoltura?
Intendiamoci, i cacciatori non sono gli unici responsabili di questa situazione ed è anche vero che molti fra loro si stanno prodigando per ridurre i casi di pasturazione, ma c'è stato un periodo nel quale s'introducevano in natura specie animali e vegetali come fosse l'orto di casa e questo ha causato danni non stimabili all'intero ambiente e ai suoi ecosistemi. Maiali, ermellini, vespe cinesi, pesci siluro, trote atlantiche, acacie, ontani napoletani, solo per citarne alcuni con i quali dobbiamo fare i conti nel nostro Parco.
Insomma: si tratta di un problema serio anche per il Parco. E dunque, quali provvedimenti sono stati presi, o sono in programma?
Gestire queste situazioni è molto difficile. E' più facile demolire un ponte in cemento armato, o un 'ecomostro' che controllare specie, o riequilibrare ecosistemi. Spesso poi intervenire in modo diretto sulla singola specie può essere addirittura un errore. Bisogna cercare di realizzare nuovi equilibri e non e' semplice, poiché ogni area è un caso a sé stante, presenta proprie dinamiche specifiche. I predicatori dell'abbattimento semplificatore, per esempio, possono causare altri danni, che si aggiungono a quelli già provocati in precedenza, soprattutto se si considera che l'origine del problema sta fuori dai confini del Parco.
Ciò detto, il Parco non ha alcun interesse a mantenere una popolazione di cinghiali, invece ha grande interesse a mantenere un'agricoltura di qualità come ad esempio quella del parmigiano-reggiano, che garantisce un equilibrato uso del territorio, che previene il dissesto, che assicura posti di lavoro e biodiversità. In concreto il Parco s' impegnerà, da subito, in tutte le azioni possibili per contenere il numero di cinghiali/maiali. Lo farà cercando in tutti i modi possibili la collaborazione dei cacciatori (come ha già iniziato a fare con alcuni soggetti del reggiano) ma lo farà anche da solo, nel caso in cui questa prima ipotesi non fosse perseguibile.
C'è qualche altro soggetto – istituzione, categoria – che deve farsi carico del problema?
Personalmente sono felice che i cacciatori si divertano, però il loro divertimento deve essere subordinato al bene comune. Sono convinto che questo traguardo sia raggiungibile, anche perché i cacciatori della zona del Parco sono persone in gamba e molti di loro sono esperti conoscitori della natura e del territorio. Inoltre, la caccia è un pezzo della cultura di questo Appennino e come tale un valore da non disperdere. Va esercitata, però, in un modo sempre più consapevole: cercando anche di recuperare antiche pratiche, meno impattanti, ad esempio, della braccata.