Accertata la presenza di cinque coppie.
E' generalmente noto che la presenza dell'aquila definisce in una buona misura il grado di naturalità di un ambiente. E i più attenti osservatori dei cieli e dei pendii della nostra montagna sanno che non è difficilissimo apprezzare anche da noi il sempre suggestivo volo di questi rapaci. Forse non tutti sanno però che l'area del Parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano, con le sue cinque coppie nidificanti e riproduttive di aquila reale, ospita poco meno del dieci per cento di quelle dell'intero tratto appenninico. Un segnale, appunto, di naturalità conservata e una ragione concreta per tenere la situazione sotto controllo ma, soprattutto, per lavorare nel tentativo di assicurare alla loro permanenza, alla nidificazione e alla riproduzione le condizioni migliori, senza disturbi, aggressioni o dannose trasformazioni ambientali.
Mancano ancora dati specifici per affermare che la popolazione sia in crescita anche qui da noi, e in effetti i dati riportati – che parlano anche di un successo riproduttivo pari a 0,40 - si riferiscono ad un monitoraggio svolto lo scorso anno dal Parco in collaborazione con la Lipu. Ma dati più generali, relativi a tutto il tratto appenninico, ci dicono che c'è una tendenza all'incremento e che dunque non è impensabile che presto ai cinque siti già 'occupati' – Riana di Monchio (sul confine con il Parco dei Cento Laghi), il Monte Marmagna, il Lagastrello, Ligonchio e Corfino in Garfagnana – se ne aggiunga qualcun altro, favorito dall'aumento delle possibili prede e dal progressivo arretramento, rispetto al crinale, nell'uso del terreno. Per la verità, gli esperti ci dicono che non sono conosciuti, in quest'area, altri siti storici di nidificazione. In altre parole: tutto ciò che è disponibile è già occupato. Ma è comunque molto importante misurare il successo riproduttivo delle coppie, perché in questo modo si ha idea di quanto il territorio del parco sia "sorgente" di giovani aquile in dispersione. Animali pronti ad occupare nuovi territori o a sostituire adulti che per diverse ragioni muoiono.
Per verificarlo si dovrà tornare presto a contare sul lavoro di esperti (ne occorrono due-tre per sito da monitorare) e ad applicare i loro metodi di osservazione che, per quanto ormai codificati, non per questo comportano meno impegno e fatica. Occorre infatti tenere sotto osservazione, e per molte ore, ogni diversa fase del ciclo riproduttivo: quella precedente l'inizio della nidificazione; quella relativa al periodo della cova delle uova; quella dedicata all'allevamento dei pulcini. Per farlo non è evidentemente possibile avvicinarsi troppo (mai molto più vicini dei 1000 metri), bisogna utilizzare sempre lo stesso luogo di appostamento, per avere la stessa visuale e la stessa prospettiva, e occorre accertare aspetti rilevanti, ad esempio se cambia un individuo della coppia, se vengono utilizzate dall'aquila posatoi diversi, o nuove dispense o luoghi diversi dove la coppia prepara le prede prima di portarle al nido.
Operazioni complesse ma di grande utilità, che un parco deve necessariamente inscrivere nelle proprie attività ricorrenti, soprattutto quando ha la responsabilità, oltre al merito e al vantaggio, di contare tra i propri abitanti anche la regina dei cieli.